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Mastocitosi • VULVODINIA.INFO
Lun 24 Ott 2011, 06:51
I mastociti
I mastociti sono cellule che fanno parte della famiglia dei globuli bianchi ma che, a differenza della maggior parte di questi che circolano nel sangue, si trovano nei tessuti connettivi di tutto l’organismo oltre che nel midollo osseo. La loro caratteristica principale è quella di contenere numerosi granuli dai quali vengono rilasciare sostanze come eparina, istamina, serotonina, triptasi ed altre ancora, in risposta a stimoli diversi. I mastociti intervengono nelle reazioni allergiche e nella risposta a infezioni da patogeni, oltre che essere attivati in seguito a traumi o in corso di stati infiammatori.
La crescita incontrollata di queste cellule, ed il loro accumulo nei tessuti, configura un insieme di patologie che vanno sotto la definizione di “mastocitosi”. Esistono forme cutanee isolate (mastocitosi cutanea), di cui la più frequente è la Orticaria Pigmentosa, e forme sistemiche, più gravi e complesse nelle loro manifestazioni cliniche. Queste ultime sono di interesse ematologico. La forma sistemica è una malattia che interessa i progenitori dei mastociti nel midollo osseo, e viene classificata nel gruppo delle malattie mieloproliferative croniche negative per il cromosoma Philadelphia. La classificazione della Organizzazione mondiale della Sanità riconosce diversi sottotipi di mastocitosi sistemica, in base alla presenza o meno di coinvolgimento di organi bersaglio, interessati dall’accumulo di mastociti anomali, e alla gravità del danno funzionale che essi determinano. Queste forme devono essere identificate perchè hanno risvolti prognostici e problematiche terapeutiche diversificate. La forma sistemica più frequente è quella “indolente”, in cui i mastociti si trovano nel midollo osseo o in almeno un altro organo, ad eccezione della cute, ma non determinano danni d’organo evidenti; esistono forme “aggressive”, in cui sono coinvolti più organi, con danneggiamento delle loro funzioni o della loro struttura. La mastocitosi sistemica può evolvere o presentarsi fino dall’esordio, come una forma leucemica (“leucemia a mastociti”), o manifestarsi in associazione ad altre patologie ematologiche, in particolare con un aumento del numero degli eosinofili.
Le manifestazioni cliniche delle forme sistemiche sono eterogenee, ma riconducibili a due problematiche principali: la sintomatologia legata al rilascio di mediatori mastocitari e le conseguenze della crescita incontrollata di mastociti. Quest’ultima può coinvolgere il midollo osseo, le ossa, i linfonodi, il fegato, la milza, il tratto gastrointestinale; laddove questi siano danneggiati, come avviene nella forma aggressiva, si possono manifestare riduzione delle normali cellule del sangue, alterazioni ossee fino alle fratture patologiche, ascite, aumento di volume della milza o dei linfonodi, malassorbimento intestinale con diarrea. Curiosamente, le manifestazioni cutanee tipo orticaria pigmentosa si ritrovano più frequentemente nella forma indolente che in quella aggressiva. La sintomatologia da rilascio di mediatori è conseguente agli effetti delle sostanze normalmente contenute nei granuli dei mastociti, in particolare della istamina, che provoca sintomi quali cefalea, flushing, prurito, edema, broncocostrizione, diarrea, ipersecrezione acida gastrica, che compromettono la qualità di vita del paziente e che sono potenzialmente pericolosi, con quadri di ipotensione fino allo shock anafilattico.
Per stabilire la diagnosi di mastocitosi è necessaria una biopsia osteomidollare e un aspirato di sangue midollare, e nel caso di evidente coinvolgimento d’organo, eventuali biopsie cutanee, linfonodali, ossee, etc. Sulla biopsia ossteomidollare, oltre alla semplice valutazione morfologica, può essere effettuata una colorazione specifica per la triptasi contenuta nei mastociti, che permette di valutare il numero, la morfologia e la distribuzione di queste cellule. Oltre alla identificazione dei mastociti midollari o nel sangue periferico con tecniche di citofluorimetria, è possibile oggi eseguire alcune indagini molecolari mirate, tra le quali in particolare la ricerca di una mutazione puntiforme del gene c-kit, cosidetta D816V, che conferisce un vantaggio proliferativo ai mastociti neoplastici. La presenza di questa mutazione, che è la più frequente ed è quindi importante per la diagnosi, ha risvolti terapeutici, come vedremo più avanti. Un altro test diagnostico, utile anche per il monitoraggio della malattia e della risposta alla terapia, è rappresentato dal dosaggio dell’enzima triptasi nel sangue periferico, che risulta elevato in oltre il 90% delle mastocitosi sistemiche; i suoi livelli riflettono la estensione della massa di mastociti e correlano con l’infiltrazione del midollo osseo.
Le forme cutanee asintomatiche non richiedono terapia, ed è spesso sufficiente un monitoraggio nel tempo; in altri casi, possono essere impiegate terapie locali, quali pomate a base di cortisonici e/o antistaminici o la PUVA terapia. Le manifestazioni da rilascio di mediatori sono trattate con farmaci sintomatici, come gli antistaminici; è comunque da tener presente il rischio di manifestazioni anafilattiche, specialmente in occasione dell’esposizione a stimoli antigenici (ad esempio, farmaci, vaccini) o di interventi chirurgici.
Nelle forme sistemiche che non presentano danni d’organo è giustificato l’atteggiamento del semplice controllo nel tempo; alla comparsa di sintomatologia d’organo è necessario intervenire, inizialmente con farmaci cortisonici e con Interferone alfa. Per i pazienti che non rispondono a questa terapia, oppure che non tollerano a causa degli effetti collaterali all’interferone, sono state proposte opzioni terapeutiche diverse con farmaci ad azione citoriduttiva, come la cladribina e l’idrossiurea. Bisogna tuttavia ricordare che ancora non esistono terapie standard o codificate sulla base di studi clinici, anche in relazione alla rarità della malattia e al conseguente piccolo numero di pazienti valutati. In casi di malattia molto aggressiva, è stato tentato anche un approccio terapeutico simile alla leucemie acute, cioè con cicli di chemioterapia seguiti dal trapianto di cellule staminali allogeniche; si sono ottenute però soltanto delle remissioni di breve durata, seguite a distanza di pochi mesi dalla ripresa di malattia. Una nuova opzione terapeutica è rappresentata dai farmaci inibitori delle tirosin-chinasi, primo fra i quali Imatinib. Vari studi hanno dimostrato che l’efficacia di questo farmaco è limitata però ai casi privi della mutazione c-kit D816V, che conferisce di per sè una resistenza al farmaco; questo lo rende di fatto inefficace nella maggior parte dei casi di mastocitosi sistemica. Al contrario, risulta efficace nei casi meno frequenti che presentano il gene c-kit non mutato o con mutazioni diverse dalla D816V, o nelle forme di mastocitosi associate ad un incremento dei granulociti eosinofili con presenza del riarrangiamento tipico FIP1L1/PDGFRA. In recenti studi clinici è stato valutato anche un altro farmaco inibitore delle tirosin-chinasi, analogo dell’Imatinib, chiamato Dasatinib; studi su cellule in coltura hanno dimostrato la sua capacità di inibire la crescita delle cellule sia non mutate sia portatrici della mutazione c-kit D816V. Sono inoltre già in studio, ma non ancora in commercio, altri inibitori delle tirosin-chinasi attivi su c-kit.
Recentemente è stata creata una Rete Italiana Mastocitosi (RIMA), che riunisce la maggioranza dei centri italiani che si occupano della diagnosi e della cura di questa patologia: attualmente sono coinvolti 32 centri, specializzati in diverse discipline cliniche oltre l’ematologia (allergologia ed immunologia clinica, dermatologia, genetica medica e pediatria) proprio per le eterogenee manifestazioni della malattia. Obiettivi della Rete sono l’uniformazione delle metodiche diagnostiche e la creazione di collaborazioni al fine condividere esperienze e di migliorare la gestione dei pazienti, anche attraverso la partecipazione al Network Europeo di Competenza sulla Mastocitosi (ECNM; www.univie.ac.at/ecnm). È stato inoltre creato un sito web, ancora in corso di ampliamento, che si rivolge ai pazienti, ai medici generici e agli specialisti, con lo scopo di divulgare ed informare sui centri afferenti alla Rete, sugli avvenimenti scientifici recenti e sulle eventuali novità del settore (www.mastocitosi.it).
A cura di Alessandro M. Vannucchi, con la collaborazione di Lisa Pieri - Ematologi
Marzo 2007
Fonte: http://www.ail.it/novita/novita37.aspLa crescita incontrollata di queste cellule, ed il loro accumulo nei tessuti, configura un insieme di patologie che vanno sotto la definizione di “mastocitosi”. Esistono forme cutanee isolate (mastocitosi cutanea), di cui la più frequente è la Orticaria Pigmentosa, e forme sistemiche, più gravi e complesse nelle loro manifestazioni cliniche. Queste ultime sono di interesse ematologico. La forma sistemica è una malattia che interessa i progenitori dei mastociti nel midollo osseo, e viene classificata nel gruppo delle malattie mieloproliferative croniche negative per il cromosoma Philadelphia. La classificazione della Organizzazione mondiale della Sanità riconosce diversi sottotipi di mastocitosi sistemica, in base alla presenza o meno di coinvolgimento di organi bersaglio, interessati dall’accumulo di mastociti anomali, e alla gravità del danno funzionale che essi determinano. Queste forme devono essere identificate perchè hanno risvolti prognostici e problematiche terapeutiche diversificate. La forma sistemica più frequente è quella “indolente”, in cui i mastociti si trovano nel midollo osseo o in almeno un altro organo, ad eccezione della cute, ma non determinano danni d’organo evidenti; esistono forme “aggressive”, in cui sono coinvolti più organi, con danneggiamento delle loro funzioni o della loro struttura. La mastocitosi sistemica può evolvere o presentarsi fino dall’esordio, come una forma leucemica (“leucemia a mastociti”), o manifestarsi in associazione ad altre patologie ematologiche, in particolare con un aumento del numero degli eosinofili.
Le manifestazioni cliniche delle forme sistemiche sono eterogenee, ma riconducibili a due problematiche principali: la sintomatologia legata al rilascio di mediatori mastocitari e le conseguenze della crescita incontrollata di mastociti. Quest’ultima può coinvolgere il midollo osseo, le ossa, i linfonodi, il fegato, la milza, il tratto gastrointestinale; laddove questi siano danneggiati, come avviene nella forma aggressiva, si possono manifestare riduzione delle normali cellule del sangue, alterazioni ossee fino alle fratture patologiche, ascite, aumento di volume della milza o dei linfonodi, malassorbimento intestinale con diarrea. Curiosamente, le manifestazioni cutanee tipo orticaria pigmentosa si ritrovano più frequentemente nella forma indolente che in quella aggressiva. La sintomatologia da rilascio di mediatori è conseguente agli effetti delle sostanze normalmente contenute nei granuli dei mastociti, in particolare della istamina, che provoca sintomi quali cefalea, flushing, prurito, edema, broncocostrizione, diarrea, ipersecrezione acida gastrica, che compromettono la qualità di vita del paziente e che sono potenzialmente pericolosi, con quadri di ipotensione fino allo shock anafilattico.
Per stabilire la diagnosi di mastocitosi è necessaria una biopsia osteomidollare e un aspirato di sangue midollare, e nel caso di evidente coinvolgimento d’organo, eventuali biopsie cutanee, linfonodali, ossee, etc. Sulla biopsia ossteomidollare, oltre alla semplice valutazione morfologica, può essere effettuata una colorazione specifica per la triptasi contenuta nei mastociti, che permette di valutare il numero, la morfologia e la distribuzione di queste cellule. Oltre alla identificazione dei mastociti midollari o nel sangue periferico con tecniche di citofluorimetria, è possibile oggi eseguire alcune indagini molecolari mirate, tra le quali in particolare la ricerca di una mutazione puntiforme del gene c-kit, cosidetta D816V, che conferisce un vantaggio proliferativo ai mastociti neoplastici. La presenza di questa mutazione, che è la più frequente ed è quindi importante per la diagnosi, ha risvolti terapeutici, come vedremo più avanti. Un altro test diagnostico, utile anche per il monitoraggio della malattia e della risposta alla terapia, è rappresentato dal dosaggio dell’enzima triptasi nel sangue periferico, che risulta elevato in oltre il 90% delle mastocitosi sistemiche; i suoi livelli riflettono la estensione della massa di mastociti e correlano con l’infiltrazione del midollo osseo.
Le forme cutanee asintomatiche non richiedono terapia, ed è spesso sufficiente un monitoraggio nel tempo; in altri casi, possono essere impiegate terapie locali, quali pomate a base di cortisonici e/o antistaminici o la PUVA terapia. Le manifestazioni da rilascio di mediatori sono trattate con farmaci sintomatici, come gli antistaminici; è comunque da tener presente il rischio di manifestazioni anafilattiche, specialmente in occasione dell’esposizione a stimoli antigenici (ad esempio, farmaci, vaccini) o di interventi chirurgici.
Nelle forme sistemiche che non presentano danni d’organo è giustificato l’atteggiamento del semplice controllo nel tempo; alla comparsa di sintomatologia d’organo è necessario intervenire, inizialmente con farmaci cortisonici e con Interferone alfa. Per i pazienti che non rispondono a questa terapia, oppure che non tollerano a causa degli effetti collaterali all’interferone, sono state proposte opzioni terapeutiche diverse con farmaci ad azione citoriduttiva, come la cladribina e l’idrossiurea. Bisogna tuttavia ricordare che ancora non esistono terapie standard o codificate sulla base di studi clinici, anche in relazione alla rarità della malattia e al conseguente piccolo numero di pazienti valutati. In casi di malattia molto aggressiva, è stato tentato anche un approccio terapeutico simile alla leucemie acute, cioè con cicli di chemioterapia seguiti dal trapianto di cellule staminali allogeniche; si sono ottenute però soltanto delle remissioni di breve durata, seguite a distanza di pochi mesi dalla ripresa di malattia. Una nuova opzione terapeutica è rappresentata dai farmaci inibitori delle tirosin-chinasi, primo fra i quali Imatinib. Vari studi hanno dimostrato che l’efficacia di questo farmaco è limitata però ai casi privi della mutazione c-kit D816V, che conferisce di per sè una resistenza al farmaco; questo lo rende di fatto inefficace nella maggior parte dei casi di mastocitosi sistemica. Al contrario, risulta efficace nei casi meno frequenti che presentano il gene c-kit non mutato o con mutazioni diverse dalla D816V, o nelle forme di mastocitosi associate ad un incremento dei granulociti eosinofili con presenza del riarrangiamento tipico FIP1L1/PDGFRA. In recenti studi clinici è stato valutato anche un altro farmaco inibitore delle tirosin-chinasi, analogo dell’Imatinib, chiamato Dasatinib; studi su cellule in coltura hanno dimostrato la sua capacità di inibire la crescita delle cellule sia non mutate sia portatrici della mutazione c-kit D816V. Sono inoltre già in studio, ma non ancora in commercio, altri inibitori delle tirosin-chinasi attivi su c-kit.
Recentemente è stata creata una Rete Italiana Mastocitosi (RIMA), che riunisce la maggioranza dei centri italiani che si occupano della diagnosi e della cura di questa patologia: attualmente sono coinvolti 32 centri, specializzati in diverse discipline cliniche oltre l’ematologia (allergologia ed immunologia clinica, dermatologia, genetica medica e pediatria) proprio per le eterogenee manifestazioni della malattia. Obiettivi della Rete sono l’uniformazione delle metodiche diagnostiche e la creazione di collaborazioni al fine condividere esperienze e di migliorare la gestione dei pazienti, anche attraverso la partecipazione al Network Europeo di Competenza sulla Mastocitosi (ECNM; www.univie.ac.at/ecnm). È stato inoltre creato un sito web, ancora in corso di ampliamento, che si rivolge ai pazienti, ai medici generici e agli specialisti, con lo scopo di divulgare ed informare sui centri afferenti alla Rete, sugli avvenimenti scientifici recenti e sulle eventuali novità del settore (www.mastocitosi.it).
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